2 anni fa siamo stati travolti dalla pandemia ed ancora stiamo vivendo delle vite “diverse” fatte di mascherine, tamponi, vaccini e distanziamento sociale. Questa nuova realtà ha portato cambiamenti su tutti i piani ed ovviamente anche su quello lavorativo con l’introduzione di pratiche (come lo smartworking) che prima erano considerate quasi fantascienza, ma che sono diventate immediatamente realtà per cercare di tenere in piedi il tessuto economico-sociale rispettando tutti vincoli che la pandemia ci ha imposto.
In pratica la pandemia ci ha costretti ad intraprendere delle strade non battute e ci ha permesso di scoprire che la nostra società è molto più resiliente di quanto potevamo immaginarci con interi settori che si sono trasformati spingendosi verso una maggiore digitalizzazione.
Un altro grande effetto prodotto dalla pandemia è stato quello di permettere ai singoli di fermarsi (lockdown) e di fare un’analisi dei propri valori, aspettative e di quanto la propria posizione lavorativa sia con esse coerente. Questo ha portato a quello che negli Stati Uniti è chiamato il fenomeno della Great Resignation e che in Cina ha invece preso il nome di Tang ping. In entrambi i casi si è registrato un significativo incremento delle dimissioni anche se per motivi e modelli culturali diversi.
In Italia al momento questo fenomeno non è stato così definito. Infatti, sebbene si sia registrato nel secondo trimestre del 2021 un incremento delle dimissioni del 37% rispetto allo stesso trimestre del precedente anno, Francesco Armillei, ricercatore della London School of Economics, sostiene che “se l’aumento si dimostrasse soltanto temporaneo potrebbe essere interpretato come il frutto di un mercato del lavoro “congelato” per molti mesi, sia per motivi di andamento del ciclo economico sia per le politiche pubbliche adottate per fronteggiare la crisi (come la cassa integrazione Covid), e che affronta una fase di riassestamento nel momento in cui comincia lo “scongelamento”. Potrebbe trattarsi di dimissioni programmate, ma rimandate durante la pandemia. Potrebbe trattarsi di dimissioni forzate dai datori di lavoro di fronte a una contrazione dell’attività economica e di politiche quali il blocco dei licenziamenti. Oppure potrebbero essere le dimissioni di chi ha avuto una sorta di “epifania” durante la crisi riguardo la propria carriera e ora si dimette per cercare un lavoro più adatto, più rispondente alle nuove esigenze.”
Dobbiamo quindi attendere per capire se queste nuove tendenze sono soltanto dovute ad aspetti contingenti alla pandemia o se al contrario sono l’inizio di una nuova era, dove le persone hanno seriamente cambiato il loro approccio al lavoro.
Quello che in ogni caso appare attuale è che ci troviamo anche in Italia, dopo decenni di immobilismo sul mercato del lavoro, in una situazione fluida in cui molte persone volontariamente o meno si trovano a dover cambiare occupazione valutando magari anche la possibilità di partire con un proprio progetto imprenditoriale grazie alle risorse del Pnrr e a nuove soluzioni che permettono ai professionisti e alle aziende di partire leggeri per perseguire i propri obiettivi di business.
Un esempio di queste “nuove” opportunità è sicuramente rappresentato dai Business Center, come StudioIn, che permettono alle startup di dotarsi di una sede professionale senza sobbarcarsi di costi fissi ed ingenti per l’apertura di una propria sede.
Speriamo che la pandemia, con il suo carico di problemi possa essere quella spinta, quella scossa che l’Italia stava aspettando per intraprendere finalmente una trasformazione del mercato del lavoro verso una maggiore fluidità e modernità e magari di inclusione sociale.
To be continued…..